Riflessioni dell’autore

Di Lillo Alaimo Di Loro

Il libro “la Ragione del Cibo” Leonardo Sciascia a Tavola – da una conversazione con Vito Catalano. Il libro, edito dalla casa editrice Salvatore Sciascia, di Caltanissetta, rappresenta di fatto   la prima “biografia gastronomica”  ufficiale dedicata allo scrittore racalmutese Leonardo Sciascia, di cui quest’anno ricorre il centenario della sua nascita. Prendendo spunto dai ricordi di Vito Catalano, nipote dello scrittore di Racalmuto ho cercato di tracciare un ritratto singolare di Leonardo Sciascia: amante della buona  cucina e della convivialità, molto attento al gusto dei cibi e pronto a mettersi ai fornelli per  sperimentare pietanze  nel solco della tradizione siciliana o per inventarne di  nuove. Il libro esplora i temi più disparati ma collegati tra loro  e tutti riconducibili al cibo e alla sua “Ragione”.

Ne è uscito fuori un uomo straordinariamente normale impegnato in un quotidiano confronto col cibo e il suo entroterra culturale. Un rapporto sereno, scandito dalla ricerca quotidiana del piacere ma privo di eccessi. Ultimo, lucido testimone di una cultura legata alla terra che vede nel cibo un valore a doppia valenza, energia per il corpo e nutrimento per lo spirito; il tutto in un equilibrio naturale e perfetto che solo la consapevolezza del proprio tempo poteva e può garantire.

Il paesaggio culturale

“La Noce è tra le tante contrade di Racalmuto quella che ha tutti i requisiti per conciliare il bisogno di contemplazione, insito in ogni creatura umana, con il bisogno della speculazione intellettuale, per coloro che ne sentono la necessità. È infatti una contrada dove l’aria è fresca e ventilata; la vegetazione è rigogliosa e il paesaggio costantemente dominato dal colore verde, con tutte le sue variabili cromatiche”

“Qui sono nate alcune delle opere letterarie più importanti della letteratura dell’ultimo secolo. Se mai ce ne fosse bisogno, ciò sta a dimostrare che se talvolta succede che la forma s’accora all’intenzion de l’arte è anche perché il “contesto” è favorevole a che a risponder la materia non sia sorda”.

divina commedia – canto 1  vv. 127-132

Vero è che, come forma non s’accorda

molte fiate a l’intenzion de l’arte,

perch’a risponder la materia è sorda,

“… , credo che lo scrittore racalmutese non abbia mai trascurato l’attenzione alla qualità del cibo inteso nel senso più completo del termine. Il cibo come piacevole sintesi di una ricchissima gamma di ingredienti della cucina mediterranea, evocativi di una cornice scenografica tra le più pregiate d’Italia, frutto del contributo di tutte le culture che vi si sono susseguite negli ultimi due millenni senza sovrastarsi ma raccogliendosi in un’unica sinfonica armonia.

Il cibo come ambasciatore del paesaggio mediterraneo e della civiltà contadina, importante chiave di lettura per comprendere le dinamiche sociali e culturali di una sicilianità ancora da esplorare del tutto. Insomma i saperi del territorio rappresentati attraverso la cucina “dei semplici”, in grado però di raccontare le sfumature più recondite delle microstorie locali quale paradigma dei sistemi dei valori e della macrostoria dell’uomo”.

Leonardo Sciascia e l’olio d’oliva

«Mio nonno Leonardo utilizzava olio di oliva anche per le fritture». Non è poco, mi sono affrettato a dire: uno dei punti di forza della dieta Mediterranea è la ricchezza di sostanze antiossidanti, a partire proprio dall’olio di oliva. L’olio extra vergine d’oliva è, senza timore di smentita, il più nobile degli oli alimentari e dei grassi in generale.

Ottenuto dalla spremitura meccanica delle olive fresche, entro poche ore dalla raccolta, con acidità inferiore allo 0,8%, l’olio extra vergine di olive ha ottime qualità organolettiche, è un importante antiossidante e ha un punto di fumo molto alto (pertanto è ottimo anche per le fritture). Inoltre è composto in prevalenza da acidi grassi vegetali buoni (omega 6) che contrastano la crescita del colesterolo cattivo.

L’olio extra vergine di olive è anche uno dei doni più preziosi che la dominazione greca ha lasciato alla Sicilia. Furono i greci, infatti, i primi a coltivare gli olivi nell’isola e per quanto nei secoli la coltivazione dell’olivo si è di fatto diffusa in tutte le contrade, l’uso in cucina di questo prezioso ingrediente non era affatto scontato.

La limitata disponibilità e il prezzo lo hanno reso appannaggio pressoché esclusivo delle classi più agiate. L’olio di oliva, peraltro, sino all’avvento dell’elettricità si divideva tra uso  culinario e alimentazione delle lampade o “lumine”. In realtà a queste si riservava l’olio di peggiore qualità, detto appunto lampante per la sua destinazione (alimentare le lampade).

Oggi si definisce lampante l’olio che presenta difetti di gusto e che ha un’acidità superiore al 2%. Non era raro l’uso di altri grassi, come lo strutto, detto “saimi”, introdotto in Sicilia dagli spagnoli e utilizzato per le fritture e per rendere più friabili e gustose alcune preparazioni da forno come biscotti e dolci per le ricorrenze importanti.

Non erano rari i casi in cui nella casa contadina si friggeva con l’acqua, intendendo con questo il ricorso alla salutistica pratica di mescolare l’acqua all’olio per consentire la cottura ad una temperatura costantemente intorno ai cento gradi, condizione che garantisce il migliore rapporto tra qualità salutistiche dei cibi e risposta organolettica.

A partire dagli anni Cinquanta con l’arrivo degli oli di semi, disponibili a buon prezzo, il consumo dell’olio di “semi vari” prese posto in molte cucine degli italiani, che troppo presto si lasciarono convincere della opportunità di utilizzarlo, soprattutto per le fritture, e da allora non sono pochi quelli che ancora oggi sono convinti che sia l’olio migliore per friggere.

Le fritture, nell’ottica di una cucina ispirata a obiettivi salutistici, tra i pochi meriti che possono vantare hanno sicuramente quello di ricordare al fegato la sua funzione di smaltire i grassi, anche quelli complessi. È allora conveniente farne un consumo limitato, ma soprattutto fare delle ottime fritture, per cui è obbligatorio l’uso del buon olio extra vergine d’oliva.

«Un’altra ricetta amata da mio nonno era la pasta aglio, olio, peperoncino e acciughe. Metteva in una padella una giusta quantità di olio e l’aglio, tagliato a pezzi non tanto sottili. Le acciughe, o in alternativa le sarde salate, pulite dal sale, venivano sciolte in olio, aggiungeva un pizzico di sale secondo le esigenze, (considerando, appunto, la presenza delle acciughe) e una piccola manciata di peperoncino tagliato a piccoli pezzi ma non in polvere.

A quel punto il condimento era pronto per accogliere la pasta, cotta in acqua, al dente. Formato spaghetto grosso, bucatini, linguine. Una ricetta facile da improvvisare, per esempio rientrando da un viaggio».

Da – La “ragione” del cibo. Leonardo Sciascia a tavola – di  Lillo Alaimo Di Loro

Se il cibo ha una ragione

La narrazione del cibo e la sua descrizione indiretta nell’opera letteraria sciasciana rappresentano la creazione di nuovi e capillari punti di resistenza di diversità culturale e quindi di identità storica e territoriale, antefatto di ogni interazione creativa tra i popoli. Ma le dinamiche del cibo, nel mondo globalizzato, rimandano oggi, come allora, semmai con una maggiore consapevolezza, a delle riflessioni squisitamente intellettuali, sempre care allo scrittore racalmutese. In primis il valore della verità: la ricerca della verità, croce e delizia di tutta la produzione sciasciana.

Vi è traccia eloquente in Candido, quando ad uno dei personaggi del libro viene detto: «Non è che la verità non sia bella: ma a volte fa tanto di quel danno che il tacerla non è colpa ma merito».

Riflessione che non solo dimostra quasi in modo sconcertante quanto il messaggio sciasciano sia attuale ma che, se trasferito al tema del cibo, apre la grande questione della qualità dell’alimentazione, dell’accesso al cibo ma  soprattutto della sostenibilità dei sistemi di produzione agricola. Racchiude verità che la società moderna, ipocritamente, preferisce ignorare.

Oggi, il cibo che nutre, e in parte avvelena buona parte dell’area occidentale ed industrializzata del mondo, viene prodotto soprattutto in modo industriale ed energivoro. L’impatto del settore agricolo-industriale produce depauperamento delle risorse fossili, inquinamento ed eccedenze.

I modelli produttivi, perseguendo obiettivi prevalentemente economici, di fatto hanno trasformato il cibo in una qualsiasi merce di scambio e l’atto della sua produzione in un semplice processo industriale e meccanico, in luogo dell’originario atto di amore verso la terra. Per fortuna questo disastro ha un suo naturale limite. Oggi infatti circa l’80% dell’umanità si nutre grazie all’agricoltura familiare: nelle nostre aree rurali ma soprattutto nel mondo. Sono le donne, mamme, figlie e nonne in prevalenza, ad occuparsi direttamente della produzione del cibo necessario al sostentamento delle loro famiglie.

E lo fanno senza ricorso ai veleni dei sistemi industrializzati esogeni, piuttosto con un approccio che oggi diremmo endogeno, basato sulla valorizzazione dei saperi e delle qualità territoriali: un irrinunciabile baluardo anche contro la massificazione dei  modelli alimentari che adotta consapevolmente corretti principi di dieta. Come dire: il cibo che consolida sempre di più il suo ruolo di collegamento tra territorio e cultura del buon vivere, in modo che ciascun territorio possa al meglio produrre il proprio cibo, nel modo migliore e insieme più lieve. Come avrebbe detto il maestro di Regalpetra: «a ciascun territorio la sua agricoltura a ciascun popolo la sua dieta».

Il cibo ha il compito di nutrire e rendere felice l’umanità , ma può anche uccidere. Mentre la sua assenza o la mancanza di accesso ad esso è sicura causa di morte e denutrizione.  È quanto accade  da circa due secoli, pressoché in modo invariato da oltre 150 anni, per circa l’11.5 % della popolazione mondiale. Dalla responsabilità delle nostre scelte di consumo alimentare dipende buona parte della nostra felicità e indirettamente la libertà dei popoli.

Se mai il cibo avesse una “ragione” il libro ha cercato di individuarla.